giovedì 11 dicembre 2008

Dall’Irlanda al Tibet



La montagna volante

Nel mio girovagare su internet ho trovato la recensione di un libro appena uscito che mi sembra interessante e che penso proprio di chiedere in regalo a Babbo Natale per le prossime feste.

Secondo una credenza tibetana, le montagne sarebbero frammenti di stelle precipitati sulla Terra, e un giorno potrebbero ritornare da dove sono venute, prendendo il volo. Da qui il titolo dell’ultimo romanzo di Christoph Ransmayr, La montagna volante (edito da Feltrinelli), che racconta la sfida portata alla leggendaria vetta tibetana di Phur-Ri, più alta dell’Everest e mai scalata, da due fratelli irlandesi in cerca di una meta impossibile, per riscattare i sogni perduti durante l’infanzia.
Vincitore dell’Heinrich- Boll Preis 2007, oltre che di parecchi premi europei tra cui il Mondello, Ransmayr è venuto in Italia in occasione dell’uscita di due suoi libri, non solo il più recente, La montagna volante, ma anche il suo primo romanzo, Gli orrori dei ghiacci e delle tenebre, (sempre di Feltrinelli) che ripercorre una spedizione artica ottocentesca: entrambi, come tutti i libri di Ransmayr, mettono in scena la lotta primordiale tra l’uomo e la natura, una partita senza fine al cospetto del mistero. «Sono attratto dai mondi più abbandonati e marginali» conferma lo scrittore «non soltanto le vette e i ghiacci, ma anche i deserti, gli oceani, la cui immensità mette ancor più in evidenza la piccolezza e la fragilità umana».

Filosofo ed etnologo, in La montagna volante lo scrittore austriaco fa incontrare due uomini di oggi con una tribù di montanari nomadi che vivono a un livello primitivo, intriso di magia. Le reazioni dei due personaggi sono diverse: Liam, il fratello maggiore, che ha organizzato la spedizione per via telematica, resta appartato, mentre il fratello minore, che è la voce narrante, s’innamora di una donna della tribù e ne condivide l’esistenza. «Indubbiamente rappresentano due tendenze contrapposte» spiega Ransmayr «il fratello maggiore si protegge dai sentimenti con lo scudo della tecnologia, la sua è una vita virtuale, anche la vetta da scalare l’ha individuata sul computer. Il fratello minore, per seguirlo, abbandona il proprio mestiere di marinaio e si trova catapultato in un mondo opposto al suo, però riesce ad adattarsi perché sceglie l’amore, la via migliore per integrarsi in una cultura diversa».
I due fratelli, ormai adulti, hanno in comune soltanto i ricordi dell’infanzia, vissuta con un padre idealista ma perdente che forse, con la loro impresa, cercano di riscattare. In questo senso il simbolo della montagna potrebbe prestarsi a un’interpretazione di tipo psicanalitico. «Il racconto di uno scrittore è sempre suscettibile di tante interpretazioni quanti sono i lettori» prosegue Ransmayr «io dico sempre che ognuno legge nella lingua del suo cuore. Però è vero che la montagna è un simbolo potente, universale. Scalarne una è come fare un viaggio a ritroso nel tempo: alle pendici si trovano insediamenti umani, più in su dominano le specie vegetali e animali, ancora più su c’è la solitudine della pietra e infine si entra nel magico mondo dei ghiacci eterni, in una rarefazione che avvicina al cielo, al mistero essenziale dell’origine».
I due piani narrativi del romanzo, quello del presente in Tibet e quello della memoria in Irlanda, sembrano una scelta inconsueta per un autore austriaco: «Ho vissuto quindici anni in Irlanda, anni importanti anche per i legami di amicizia che intrattengo ancora, quindi si è trattato di un omaggio a una terra a me cara. Quanto al Tibet e all’Himalaya, sono paesaggi che invece conosco per averci viaggiato. Ovviamente uno scrittore può documentarsi in mille modi attorno agli scenari che descriverà in un libro, ma nel mio caso si tratta di esperienze personali»

In questo libro sono descritti paesaggi estremi, dalla desolata isola irlandese battuta dalle tempeste dove vive Liam alle steppe innevate dove le pendici dei monti vengono fissate con i chiodi per timore che volino via. Per questo anche il linguaggio ha assunto una forma rarefatta, quasi “volante”, scandita in righe brevi e disuguali come in una poesia.
«Non è detto che qualsiasi testo con frasi di lunghezza diversa e frequenti a capo, sia poesia» assicura lo scrittore austriaco «in questo caso ho voluto riproporre un andamento da racconto orale, fuori dalla tradizione scritta, come nell’antica arte della narrazione tibetana. È un libro che si presta molto alla lettura ad alta voce, c’è chi vi ha trovato una suggestione ipnotica». Vi si legge: «…ho sognato/ che non era stata la nostalgia di terre lontane o / lo struggimento per un’inviolata macchia bianca dell’atlante/ … a farci cercare una montagna dimenticata, / ma che quella montagna aveva trovato noi, / le sue vittime, due figure infinitamente piccole/ .. si era spinta verso di noi, immensa e possente/ avvolgendoci con fiammeggianti pennacchi di neve».

L’autore
Christoph Ransmayr è nato nel 1954 a Wels in Alta-Austria. Ha studiato etnologia e filosofia a Vienna ed è stato per qualche anno cronista culturale. Con Il morbo Kitahara, sullo scenario apocalittico di un’Europa sconvolta, ha vinto il Premio Mondello. Dal 1982, si dedica esclusivamente alla letteratura. Collabora con varie riviste e scrive racconti di viaggio.

Christoph Ransmayr
La montagna volante
Feltrinelli 2008
€uro 19,50

1 commento:

Alessandro ha detto...

Un'ottima idea quella di chiedere in regalo questo libro. Io l'ho letto un paio di mesi fa e ne sono rimasto entusiasta.
Ciao