lunedì 16 agosto 2010

Fotografia ... volontaria




Uno scatto per cambiare il mondo


Non sempre, ma la storia della fotografia ci insegna che spesso uno scatto può cambiare il mondo... ancor di più oggi dopo la nascita del network Shot4change, la rete internazionale dei volontari della fotografia nata un anno fa dalle macerie dell'Aquila e oggi diffusa in tutto il mondo.

Il suo fondatore, Antonio Amendola, funzionario pubblico e amante della fotografia, ricorda l'esordio con incredulità.... Era andato in Abruzzo e si aggirava tra le macerie del terremoto sentendosi impotente. Un suo amico, medico, era in corsia ad aiutare i feriti. "E io? Cosa potevo fare io che non sono un medico, un infermiere, un vigile del fuoco? Ho pensato che anche la fotografia poteva aiutare chi stava soffrendo, poteva essere testimonianza ma anche veicolo di fondi. Ho organizzato un workshop fotografico a Bari e il denaro dei partecipanti è stato devoluto in beneficenza all'ospedale di Coppito, devastato dal sisma".
Tornato a Roma ha fondato un network che, scatto dopo scatto, sta reinventando la fotografia sociale; il messaggio è semplice: "Racconta con le immagini storie locali per cambiare il
mondo, condividile e falle circolare".

In un anno hanno aderito più di 120 fotografi, sparsi per i 4 continenti: tra di loro maestri come Ed Kashi, vincitore di World Press Photo e firma del National Geographic, o reporter di frontiera come Gabriele Torsello, rapito in Afghanistan nel 2006.
A volte i volontari della fotografia scendono in campo per realizzare servizi fotografici a sostegno di chi non ha i mezzi per pagare un professionista, come ad esempio è accaduto a Casalecchio di Reno dove per cinque giorni il team dei fotografi bolognesi di Shoot 4 Change ha seguito i mondiali antirazzisti scovando la squadra iraniana che andava in campo nel nome di Neda, il simbolo della Rivoluzione verde.
Alla vigilia dei mondiali, un altro volontario (il fotoreporter Alfons Rodriguez di Barcellona) ha attraversato l'Africa alla ricerca di scatti che partendo dal calcio parlassero di integrazione sociale e razziale, lotta all'Aids e alla discriminazione sessuale.
Il bengalese Sheikh Rajibul Islam ha aderito al network mostrando la povertà, la disperazione che ha portato un popolo, in questo caso di fede musulmana, a fuggire dalla propria terra per cercare asilo e condizioni di vita più umane.
E ancora... Beb C. Reynol, docente del Photographic Center Northwest di Seattle, ha documentato le condizioni di lavoro di 150 uomini impegnati in una miniera di carbone in Afghanistan; Claudio Genghini ha seguito per 160 chilometri gli himalayani che si guadagnano da vivere portando pesi enormi sulle spalle, legati con cinghie di fortuna; Antonio Marcello - che non è un professionista, ma organizza per la Uisp iniziative sportive con finalità sociali - ha documentato il primo Vivicittà, manifestazione di corsa che veicola messaggi di pace, per l'ambiente e il cambiamento sociale, a Kinshasa, Congo.
Al Cairo, invece, è lo stesso Antonio Amendola ad avere scattato foto in aiuto degli abitanti della città dei morti, il cimitero monumentale abitato da circa 800.000 persone, uno degli slums più grandi del mondo.

Le idee nascono dal locale e crescono in rete "come una wikipedia della fotografia ... chi scatta rinuncia all'obiettività ed entra in contatto con i suoi soggetti", spiega Amendola.... "forse non avremo cambiato il mondo con uno scatto, ma come ci hanno detto le persone ritratte, almeno abbiamo cambiato la loro giornata".

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