lunedì 31 marzo 2008

Earth Hour - L'ora della terra




Staffetta per il Clima

È partita la scorsa notte dalle Isole Fiji la staffetta per il Clima Earth Hour-L’Ora della Terra, promossa dal WWF che ha coinvolto oltre 380 città in tutti i continenti e 30 milioni di cittadini: alle 20, ora locale, si sono spenti monumenti ed edifici simbolo.
Tutti insieme per il clima, dalla base australiana dell’Antartide al Golden Gate, dalle Cascate del Niagara all’Opera House di Sydney.

L’evento è stato - per il WWF Italia - anche l’avvio della piattaforma virtuale di GenerAzione Clima che attiverà quest’anno 6 Cantieri per il Clima: efficienza energetica, trasporti, normativa, biodiversità, aziende.
Per la crescita di questa comunità sarà fondamentale la partecipazione concreta di tutti a favore di una riduzione del 30% delle emissioni al 2020, obiettivo che il WWF promuove a livello internazionale. Il sito generazioneclima.wwf.it sarà la piazza virtuale del countdown WWF al 2020, un luogo in cui tutti sono chiamati a dare il loro contributo attraverso l’assunzione di impegni concreti a partire dall’appuntamento di Earth Hour.
Anche l’Italia, sarà dunque presente a questo simbolico appuntamento con uno dei nostri monumenti più rappresentativi, il Colosseo, insieme alla città ‘simbolo’ dei cambiamenti climatici, Venezia - ha commentato Michele Candotti, Direttore generale del WWF Italia - Earth Hour dimostra che il contributo di ciascuno di noi può essere fondamentale per raggiungere l’obiettivo della campagna, ovvero, il taglio del 30% delle emissioni al 2020 il cui risultato concorrerebbe alla salvaguardia del 20-30% delle specie animali e vegetali più a rischio e la riduzione degli impatti sull’uomo. Compiere un gesto simbolico ma anche concreto di lotta ai cambiamenti climatici insieme ad altri milioni di persone sparse per il mondo, dà il senso della globalità e della portata del problema e lancia un segnale ai governi di inequivocabile chiarezza e potenza: i cambiamenti climatici sono qui e ora, passare all’azione è diventata una priorità assoluta”.

L’Earth Hour, partita da Sydney nel 2007 con il coinvolgimento dei suoi 2,2 milioni di abitanti, quest’anno è letteralmente esplosa ed arrivata a decine di milioni di persone in tutto il mondo. L’idea è quella di coinvolgere nello stesso giorno dell’anno e per un’ora quante più persone possibili ai capi opposti del mondo, unite in un simbolico ed eloquente messaggio: tagliare le emissioni inquinanti e agire per fermare i cambiamenti climatici.

Il giro del mondo dell’Ora della Terra è iniziato venerdì sera (28 marzo) con Tel Aviv (in anticipo a causa del Sabath ebraico) ed è ripreso nella mattina del sabato alle 9.00 (ore 20.00 locali) in Nuova Zelanda (Christchurch), nelle Isole Fiji (Suva e Lautoka) e nel piccolo arcipelago di Tuvalu, uno dei più minacciati dal pericolo dell’innalzamento dei mari. Si sono poi succeduti:
l’Opera House di Sydney (ore 11.00 in Italia), e sempre in Australia decine di altre città come Melbourne, Brisbane, Camberra, Adelaide, e perfino la base australiana in Antartico (Casey).
Alle 12.00 Seoul , Corea del Sud, alle 13.00 Perth, sempre in Australia, Manula (Filippine) Kuala Lumpur (Malesia). La maratona per il clima è proseguita a Bangkok (Thailandia, ore 14.00), Jakarta (Indonesia) e poi Dhaka (Bangladesh, ore 15.00) Bangalore e Mumbai (India); toccando poi Dubai (Emirati Arabi, ore 17.00), e Kuwait. Alle 19.00 si è spenta Damasco (Siria), As-Salt (Giordania), Kfar-Saba (Israele). È stata quindi la volta dell’Europa con Sofia (Bulgaria) e Espoo (Finlandia). Alle 20.00 pronte all’appuntamento Budapest (Ungheria), Ginevra (Svizzera) e Varsavia (Polonia), Puerto Rico (Spagna) .
Alla stessa ora è toccato all’Italia, dove hanno aderito all’invito del WWF la città di Roma, con il Colosseo spento per un ora, e Venezia, la città simbolo della minaccia del fenomeno dei cambiamenti climatici, che ha spento la sede del Municipio, Ca’ Farsetti, sul Canal Grande e la torre di Mestre. Davanti al Colosseo il WWF ha anche allestito un enorme pallone aerostatico con un messaggio da lanciare in tutto il mondo: “MENO 30% ENTRO IL 2020”.

Hanno aderito decine di città anche in Inghilterra dove si sono spenti il Brighton Pier (nel Sussex) e la residenza ufficiale del principe Carlo nel Gloucestershire, l’Highgrove House, ma anche decine edifici a Londra, Birmingham, Brighton e decine di altre città anche in Irlanda tra cui Dublino. L’Earth Hour ha quindi attraversato l’oceano Atlantico per iniziare alle 24.00 con Curitiba (Brasile), Montevideo (Uruguay), Buenos Aires (Argentina).
La mattina di domenica è toccato a Santa Cruz, Caracas (Venezuela). Forte la partecipazione delle città degli Stati Uniti e del Canada. A Chicago si è spento lo stadio Soldier Field, sede dei Chicago Bears e la Sears Tower, tra gli edifici più alt del mondo. Poi è stata la volta del Golden Gate e la prigione di Alcatraz a San Francisco, Miami (ore 2.00), Minneapolis, Mexico City, Denver ma anche Phoenix per salire poi fino alle Cascate del Niagara in Canada, uno dei paesi più attivi con oltre 100 città coinvolte tra cui Vancouver, Toronto, Montreal, Ottawa.

Le foto sono l'Opera House e il ponte Harbour (Sydney) e il Colosseo (Roma).

http://www.wwf.it/client/render.aspx?content=0&root=2462

venerdì 28 marzo 2008

Ora legale

ATTENZIONE alle lancette dell'orologio!

Ricordate che nella notte tra sabato 29 e domenica 30 marzo - alle 2 del mattino - torna l'ora legale e si dovranno spostare le lancette dell'orologio un'ora in avanti.

L'ora legale resterà in vigore per 7 mesi, fino al 26 ottobre prossimo, quando verrà ripristinata l'ora solare.
Quindi…. perderemo un'ora di sonno (spostando le lancette avanti di un'ora) ma avremo giornate più lunghe.

L'adozione dell'ora legale è decisa in base a motivazioni di risparmio energetico, anche se non tutti sono d'accordo su questa valutazione (se interessano alcune informazioni in merito al risparmio energetico dovuto all’ora legale potete fare un salto a leggere http://www.lanuovaecologia.it/energia/efficienza/9348.php).Certamente il fatto di avere un'ora in più di luce nelle sere d'estate favorisce lo svago, le uscite, il turismo e le attività all’aria aperta in genere.

L'Ora legale (detta anche Ora estiva) è l'ora locale che una nazione sceglie di adottare per una parte dell'anno, generalmente portando l'orario avanti di 60 minuti rispetto all'orario standard ufficiale.
Nell'Unione Europea l'adozione dell'ora legale è armonizzata da anni, ma nel mondo essa non segue sempre le stesse regole, e in alcuni casi non è neppure utilizzata.


Nell'emisfero australe, l'ora legale segue ovviamente un calendario invertito rispetto all'Europa e al Nord America: in Australia è in vigore dalla fine di ottobre alla fine di marzo, mentre in Brasile si va da novembre a febbraio.
In Africa l'ora legale è scarsamente usata, così come in Asia, dove si usa nelle Repubbliche dell'ex Unione Sovietica, ma non in molti stati in quanto i calendari non sono omogenei.
Il Giappone, infine, rifiuta completamente il concetto di ora legale, in ossequio ad un rigido rispetto della tradizione e alle esigenze degli agricoltori. Nel Paese del Sol Levante l'ora legale è stata utilizzata solo nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale e solo perché introdotta dalle forze armate americane occupanti.
Ci sono infine anche Paesi che hanno deciso di non adottarla più, come le Fiji dove l'ora legale è stata abolita nel 2000 e la Mongolia che l'ha fatto nel 2002.


mercoledì 26 marzo 2008

Letture di viaggi



Viaggiamo/leggiamo con Paolo Rumiz

Mi piace molto leggere racconti e romanzi di viaggi e volevo suggerirvi un autore che a me piace molto, tanto nei toni e modi con cui racconta luoghi e percorsi, quanto nelle descrizioni e nelle “fantasiose” avventure che ogni anno si inventa.
Sto parlando di Paolo Rumiz, giornalista di professione, prima come inviato speciale del Piccolo di Trieste e in seguito editorialista di la Repubblica. Dal 1986 segue gli eventi dell'area balcanica; durante la dissoluzione della Jugoslavia segue in prima linea il conflitto prima in Croazia e successivamente in Bosnia Erzegovina. Nel novembre 2001 è stato inviato ad Islamabad e successivamente a Kabul, per documentare l'attacco statunitense all'Afghanistan.

Molti suoi reportage narrano i viaggi compiuti, sia per lavoro che per diletto, attraverso l'Italia e l'Europa.
Estate 1998: pedala in bicicletta da Trieste a Vienna in compagnia del figlio (Dove andiamo stando?, pubblicato poi su Diario nell'autunno 1998)
Primavera 1999: esplora le regioni della costa adriatica italiana in automobile, da Gorizia al Salento (Capolinea Bisanzio, pubblicato su Repubblica nel gennaio del 1999)
Inverno 1999: percorre in treno la tratta Trieste-Kiev (L'uomo davanti a me è un ruteno, pubblicato sul Piccolo nello stesso anno)
Primavera 2000: si imbarca sul Danubio a Budapest per arrivare al confine tra Serbia e Romania (Ljubo è un battelliere, inserito in È oriente del 2003)
Inverno 2000: va, ancora in treno, da Berlino a Istanbul (Chiamiamolo Oriente, pubblicato su Repubblica nel gennaio del 2000)
Primavera 2001: girovaga per il nord-est in bicicletta, da Trieste al Gavia (La frica e la jota, inserito in È oriente del 2003)

Da qualche anno a questa parte compie il canonico viaggio ogni estate, in agosto, raccontandolo di giorno in giorno su Repubblica.
2001: percorre in bicicletta, insieme al vignettista Francesco Tullio Altan ed a Emilio Rigatti, i quasi 2000 Km che separano Istanbul da Trieste
2002: gira l'Italia in treno per 7480 Km, come la Transiberiana dagli Urali a Vladivostok, in compagnia delle vignette di Altan e dell'attore e regista Marco Paolini
2003: attraversa 6 nazioni andando da Fiume (Croazia) fino in Liguria lungo i 3000 Km delle Alpi
2004: in barca a vela, sulle rotte della Serenissima, da Venezia a Lepanto
2005: parte da Torino per raggiungere il sepolcro di Cristo, a Gerusalemme con Moni Ovadia e la fotografa Monika Bulaj
2006: a bordo di una Topolino, attraversa le strade secondarie degli Appennini andando dalla Liguria fino all'estrema punta della Calabria.
2007: segue le tracce del condottiero cartaginese Annibale e nell'autunno dello stesso anno pubblica su Il Piccolo Diario minimo, resoconto di un viaggio in Cina

Fra i suoi libri mi piace ricordare
Vento di terra. Istria e Fiume, appunti di viaggio tra i Balcani e il Mediterraneo, Mgs press 1994
È un diario di viaggio che nasce da una constatazione: l'Istria, come la Bosnia, è uno spazio multietnico violentato, dunque può diventare un moltiplicatore di pressioni nazionalistiche esterne. Ma il libro trae alimento dalla convinzione antitetica che l'Istria ha in sé i numeri per diventare, al contrario della Bosnia, uno spazio di riavvicinamento fra le due Europe. Nei Balcani l'orrore nasce dalla paranoia di far coincidere Stato e Nazione; in Istria il riconoscimento pieno delle autoctonie può diventare invece elemento di forza, anziché di debolezza, delle diverse sovranità statali.

Tre uomini in bicicletta, con Francesco Altan ed Emilio Rigatti, Feltrinelli 2002
Tre bici, tre cinquantenni, la Grande Diagonale del Bosforo. Un trio di amici mai cresciuti affrontano 2000 chilometri in diciotto tappe, “alla portata di chiunque sia sano di corpo e di mente. Il senso vero è stato l’immenso, infantile, primordiale divertimento”. Da Trieste giù fino ad Istanbul, attraverso i Balcani, verso l’Oriente, dentro l’“Est” (una parola secca che suona “come un marchio, un timbro extracomunitario che respinge, notifica i nostri vuoti mentali e i nostri pregiudizi”). Un libro che è un diario di bordo.
A cavallo di una “Haro estreme” color rosa confetto il giornalista guida la galoppata sicura e silenziosa di Francesco Altan ed Emilio Rigatti, rispettivamente vignettista ed insegnante. Un viaggio datato Luglio 2001, pubblicato tappa dopo tappa su La Repubblica nell’Agosto dello stesso anno. Nella versione pubblicata da Feltrinelli, tale bricolage di sensazioni e flash di viaggio si comprimono in una vera e propria guida per avventurieri ciclisti on the road: numerosissimi i consigli di percorso, le condizioni e la percorribilità delle strade, l’accoglienza e la qualità delle locande, e dettagliati e minuziosi sono i tempi di percorrenza grazie alle note tecniche di Rigatti e l’innesto di mappe topografiche del percorso seguito (quasi a rendere più concreta e tangibile questa rincorsa dell’Aurora). Piacevole e riuscita è l’integrazione delle istantanee umoristiche del disegnatore Altan, magnifici contrappunti all’interno della prosa di Rumiz.

È oriente, Feltrinelli 2003
“Metti una sera d’inverno a Berlino. Una locanda, una birra e una fantastica meta, Istanbul. Sul tavolo, una carta geografica con il percorso, uno zigzag fra isole chiamate Slovacchia, Ucraina, Carpazi, Moldavia, Bulgaria. Cent’anni fa erano ancora l’Oriente del ‘nostro’ mondo. Oggi sono solo Est, una sigla che marchia le periferie della politica e della mente. La mappa parla chiaro. Il Muro è caduto, ma un pezzo d’Europa si allontana da noi, va alla deriva in un labirinto di frontiere, secessioni, disastri bellici e ambientali."Molta parte di quello che può essere chiamato “il mondo di Paolo Rumiz” è contenuto in questa apertura. L’Est (guardato per lo più da quel formidabile osservatorio di frontiera che è Trieste), il gusto del viaggio o piuttosto dell’andare (attraversando paesaggi, incontrando uomini, sondando umori), la fascinazione del racconto e della parola. In questo libro in cui molte strade si intrecciano su quell’ideale confine d’acqua che è il corso del Danubio, non mancano affondi, interferenze, meditate diversioni che portano in Italia, quasi la fatica e la bellezza dell’andare (con ogni mezzo: a piedi, in bicicletta, in treno) fosse comunque e sempre la penetrazione di un altrove che riconduce alla percezione del nostro paese. E Trieste è sempre lì a far da sentinella fra due diversi "altrove".

Gerusalemme perduta, con Monika Bulaj, Frassinelli 2005
"Una follia. Un peccato di superbia. Una fatica improba. Non so definire altrimenti un viaggio come questo, col taccuino a raccogliere briciole di Dio, ripercorrendo a ritroso la strada dei primi cristiani dall'Italia a Gerusalemme e incontrando a ogni passo del cammino le fedi sorelle, islam e giudaismo. L'argomento, troppo grande, produce inevitabili turbolenze, dubbi, inquietudini, depistaggi. Siamo entrati in questo terreno nuovo senza guide, da viaggiatori fai-da-te, rifiutando il tranello di un approccio solo archeologico. Cercavamo banalmente racconti e immagini dei cristiani di oggi. Monika Bulaj non ha solo osservato e fotografato. Ha trasformato questa ricerca in una straordinaria avventura."

La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli 2007
Un viaggio di 7.000 chilometri che cavalca la gobba montuosa della balena-Italia lungo Alpi e Appennini, dal Golfo del Quarnaro (Fiume) a Capo Sud (punto più meridionale della Penisola). Parte dal mare, arriva sul mare, naviga come un transatlantico con due murate affacciate sulle onde ed evoca metafore marine, come di chi veleggia in un immenso arcipelago emerso. Trovi valli dove non esiste l'elettricità, incontri grandi vecchi come Bonatti o Rigoni Stern, scivoli accanto a ferrovie abitate da mufloni e case cantoniere che emergono da un tempo lontanissimo, conosci bivacchi in fondo a caverne e santuari dove divinità pre-romane sbucano dietro ai santi del calendario. E poi ancora ti imbatti in parroci bracconieri, custodi di rifugi leggendari, musicanti in cerca di radici come Francesco Guccini o Vinicio Capossela. Un'Italia di quota, poco visibile e poco raccontata. Le due parti - o forse i due "libri", alla maniera latina - del racconto, Alpi e Appennini, hanno andatura e metrica diverse. Le Alpi sono pilastri visibili, famosi; sono fatte di monoliti ben illuminati e percorse da grandi strade. Gli Appennini no: sono arcani, spopolati, dimenticati, nonostante in essi si annidi l'identità profonda della nazione. Questo racconto di "monti naviganti" è cominciato sul quotidiano "la Repubblica" ed è diventato un poema di uomini e luoghi, impreziosito da una storia "per immagini" della fotografa Monika Bulaj, che ha seguito Paolo Rumiz in alcune tappe di questa avventura.

martedì 25 marzo 2008

Pittura di montagna




Emilio Longoni e la pittura di montagna

Sabato sono andata a vedere la mostra alle Scuderie del Quirinale (Roma) su "Ottocento. Da Canova al Quarto Stato" (aperta dal 29 febbraio al 10 giugno 2008).
La mostra è molto ben organizzata e presenta dipinti e alcune sculture che sottolineano i passaggi decisivi di un secolo (l'Ottocento) oggetto recentemente (dopo un lungo e singolare ostracismo da parte della critica novecentesca), di un approfondito recupero storiografico.
Sono rimasta colpita da molti dipinti, ma soprattutto mi ha affascinato un quadro di Emilio Longoni (Ghiacciaio) collocato in una delle ultime sale dell'esposizione. I colori, l'atmosfera, le forme rappresentate mi hanno dato l'impressione di essere in alta montagna e di godere appieno di quell'immensità di spazi.

Emilio Longoni
nato a Barlassina nel 1859 e morto a Milano nel 1932, fu particolarmente attivo in Lombardia e fu un significativo esponente del divisionismo.
Entrato in rapporto, tramite il critico Gustavo Macchi, con un ambiente di intellettuali socialisti, in anni di intense lotte operaie, Longoni imboccò per qualche anno la via dell'impegno, dedicando i suoi quadri - riprodotti dalla stampa di sinistra - alla denuncia delle ingiustizie sociali
Dopo il distacco dal movimento socialista passò a temi religiosi e simbolisti, per poi approdare alla scoperta del paesaggio alpino, cui dedicò gli ultimi tre decenni della sua attività pittorica. Già nei primissimi anni del Novecento Longoni dimostrò di aver profondamente compreso i particolari equilibri del paesaggio d'alta montagna. Qui fu infatti differente la percezione del tempo, dello spazio, del colore, della luce. In alta quota il tempo è dilatato dallo sforzo impiegato per compiere pochi metri, e così dilatato è lo spazio. Mutano anche i colori che da colori vivi e netti, in un'aria senza polveri o vapori, si fondono in una gamma di colori pastello, grigio chiaro, azzurro, malva, rosa, in una atmosfera irreale.
Longoni, in diverse opere fece suo il ritmo della montagna, tendendo all'osservazione e alla resa oggettiva del paesaggio, tradotte con una completa padronanza dei principi del Divisionismo ¬ ormai docile strumento linguistico ¬ e svolgendo il dato naturalistico in simbolo, la bellezza della natura incontaminata in valore universale, senza tempo.

Ghiacciaio (olio su tela, eseguito tra il 1906 ed il 1910 circa)
Questo splendido dipinto, inedito, è uno dei tanti scorci del gruppo del ghiacciaio del Bernina, paesaggio particolarmente amato dall'artista. È tra la molte tele di grande dimensione eseguite dal Longoni durante i suoi lunghi soggiorni in quota.
L'inquadratura è a pieno campo, l'impianto prospettico si caratterizza per un taglio fotografico moderno con un effetto a zoom: la parete incombe, quasi investe lo spettatore, tagliata da profondi crepacci. Vi è la totale mancanza di dettagli naturalistici accattivanti, né rocce erbose, né cespi di rododendri turbano la perfetta "solitudine" del dipinto. La pennellata larga stende sulla tela un colore ricco di violetti, rosa, azzurri e grigi.
Ci troviamo di fronte ad un Longoni "materico" che ottiene comunque un risultato finale di grande suggestione dominato da un evanescente tonalità di violetto.

Divisionismo
Movimento pittorico italiano sviluppatosi a cavallo tra Ottocento e Novecento. La tecnica dei divisionisti, elaborata nell'intento di rappresentare in modo fedele il dato percettivo e soprattutto gli effetti della luce, prevedeva la resa delle diverse tonalità e sfumature naturali attraverso l’accostamento di colori puri, sull’esempio del puntinismo francese.


http://it.encarta.msn.com/encnet/refpages/RefArticle.aspx?refid=981536701

sabato 22 marzo 2008

Simbolo della pace




Compie 50 anni il simbolo della pace

Il simbolo della pace lo troviamo ovunque e tutti lo riconosco a prima vista, ma pochi sanno le sue origini: da dove proviene? chi l’ha inventato? in che occasione? perchè ricordarlo quest’anno?
Il simbolo della pace nasce a Londra, a Trafalgar Square, in occasione della marcia delle cinquanta miglia organizzata nel 1958 dai pacifisti inglesi per protestare invano contro il riarmo nucleare britannico.
Un grafico usò l'alfabeto marinaro per regalare un marchio agli attivisti inglesi che si battevano contro il nucleare. La "V" rovesciata che sta alla base dell'emblema è, nella segnaletica marina, la lettera "N", iniziale di "Nuclear" e la linea eretta verticale sta per la "D", “disarmo”. Dunque la figura completa vuol dire semplicemente "Nuclear Disarmament".

L’ideatore si chiamava Gerard Holton ed era stato obbiettore di coscienza durante la Seconda Guerra Mondiale, finita appena 13 anni prima. Convinse lui gli organizzatori della marcia delle 50 miglia che la loro manifestazione esigeva un logo, un marchio, qualcosa che si appiccicasse agli occhi e alla memoria.
Pensò a una variazione sul tema della croce cristiana, ma gli parve già molto sfruttata e non necessariamente associata alla pace, nei secoli bui. E alla fine ripiegò sulla combinazione dei due segnali navali, per dire "No alla Bomba e sì al disarmo nucleare".
Circa 10 anni dopo il simbolo cominciò ad essere utilizzato come riferimento generale alla Pace dal movimento studentesco contro la guerra, diventando probabilmente il più noto simbolo della cultura giovanile degli anni sessanta.

Secondo altri le due braccia con bandierine, senza il cerchio, assomigliano ad una figura stilizzata con le braccia aperte – “il gesto di un essere umano disperato”; il cerchio rappresenta l’utero o le generazioni non nate, come pure il mondo; il colore nero rappresenta l’eternità.

“[…] Su quella figura che segnala disarmo non ci possono essere dubbi. Si può dissentire, […] giudicarla ormai leziosa, demodè, inutile, ora che l'incubo del reciproco annientamento nucleare, così intenso nel 1958, ha lasciato - temporaneamente - la poltrona ad altri incubi elettoralmente più profittevoli. Ma come l'indice e il medio aperti a "v" di Churchill, anche questa curiosa ipsilon rovesciata che né il creatore inglese, né il suo corrispondente americano Ken Kolsburn vollero mai depositare e brevettare, rinunciando così a miliardi di royalties, vivrà ogni volta che l'umanità con un pretesto politico, religioso, economico, razziale, troverà un altro modo per massacrarsi. Cioè per sempre, il che spiega l'aria un po' moscia e depressa del l'omino cinquantenne, ma ancora in piedi.”

Le notizie le ho raccolte, in parte, dall’articolo di Vittorio Zucconi comparso su La Repubblica del 21 marzo, http://www.repubblica.it/2008/03/sezioni/esteri/simbolo-pace/simbolo-pace/simbolo-pace.html e in parte dal sito http://www.elettrosmog.com/simbolo/index.htm

venerdì 21 marzo 2008

Primavera!!!!



È finalmente arrivata la primavera!!!!!!!

Anche se in alcune parti d'Italia imperversa ancora il brutto tempo - con nuvole, pioggia, vento e neve - e le temperature si sono abbassate, oggi è il primo giorno di primavera.... E vi confesso che al momento qui a Roma il colore del cielo e il sole danno proprio questa impressione!

La primavera è una delle quattro stagioni delle zone temperate.
Astronomicamente inizia con l'equinozio di primavera (il 21 marzo circa nell'emisfero nord, ed il 23 settembre nell'emisfero sud), e finisce con il solstizio d'estate (il 21 giugno circa nell'emisfero nord ed il 21 dicembre nell'emisfero sud).

La primavera è la stagione dai mille volti, con colori sgargianti, aria limpida e povera di umidità; una stagione ideale per tutti, il freddo inizierà ad essere un lontano ricordo ed il caldo opprimente non si farà ancora sentire.
Con l'arrivo della nuova stagione le giornate pian piano si allungano e si potrà tornare a praticare sport all'aperto. Il cambio di stagione spesso dà una sensazione di "rinascita fisica", ma a qualcuno può dare invece stanchezza.
Per chi ha fatto sport in inverno, la primavera è la stagione della ricerca della forma ottimale, anche se può capitare di attraversare un periodo in cui ci si sente "spossati" ed il fisico non risponde come in precedenza. La ragione può essere ricercata nel tempo necessario al proprio organismo per abituarsi ai nuovi ritmi di attività: se in inverno una giornata inizia di solito alle 8 e termina alle 17, in primavera può prolungarsi anche oltre le 21. Dopo un periodo di adattamento, le forze aumenteranno; la luce stimola anche la produzione di melatonina che migliora l'efficienza fisica.
Bisogna avere sempre una certa gradualità per evitare indolenzimenti e dolori articolari, ricordandosi di fare stretching sia prima che dopo l'attività.

La foto l'ho "rubata" dal sito vax-pensierieparole.blogspot.com

martedì 18 marzo 2008

Fitwalking




Fitwalking ovvero “l’arte del camminare”

Cosa è il fitwalking
È una forma di praticare il cammino che ne evidenzia tutte le potenzialità e va oltre il semplice camminare.
Il termine inglese significa letteralmente “camminare per la forma fisica”; è il denominatore comune per tutte le attività di cammino che escono dalla normale locomozione quotidiana e diventano attività sportiva, per il tempo libero, per il divertimento, per il fitness, per la salute, per il benessere.
L’arte del fitwalking” sta proprio nella scoperta che non è sufficiente camminare per fare al meglio la passeggiata, il trekking, lo sport, il tour culturale e turistico o l’attività salutistica, ma è necessario camminare bene, ossia camminare osservando una corretta meccanica del movimento, acquisita conoscendo e praticando la tecnica del fitwalking.
Il fitwalking è quindi anche una filosofia che accompagna la vita quotidiana, per renderla più viva, più equilibrata e ritmata. E’ un modo di vivere che permette di entrare nel quotidiano al passo giusto, al ritmo corretto, in equilibrio assoluto tra noi e ciò che ci circonda. Se si pensa alla frenesia della vita di ogni giorno ben si capisce l’importanza di inserire nella nostra giornata un momento in cui tutto rallenta e dove il rapporto tra tempo e spazio prende una dimensione assolutamente diversa e si conquista un’efficienza fisica nuova e un senso di libertà assoluta. La libertà di muoversi dove si vuole ed alla velocità desiderata, di lasciare vagare i pensieri, di soffermarsi a scrutare l’orizzonte o di tirare dritto con passo deciso e sicuro.



A chi è rivolto
I buoni motivi per praticare il fitwalking sono tanti e si possono trovare motivazioni e stimoli che coinvolgono tutti verso tale pratica.
In primo luogo il fitwalking si pone come un’attività alla portata di tutti e non vi è soggetto sano che non possa camminare. Oltre a ciò, il fitwalking è libertà di movimento, di scelte di pratica. È uno sport gratificante che aiuta a sentirsi in forma e, di conseguenza, a sentirsi bene. Questi fattori migliorano l’umore, l’autostima, l’equilibrio personale.
Sul piano della salute la pratica del fitwalking rivela grandi potenzialità. Il fitwalking non è una cura, ma una “terapia preventiva”. Praticare con regolarità aiuta a raggiungere gradualmente il miglior equilibrio fisico e a incrementare progressivamente lo stato di benessere derivante dall’attività, con il vantaggio indubbio di essere accessibile a tutti.
Il fitwalking è un’attività che incide quindi molto sul miglioramento della qualità di vita delle persone.

Le tre grandi categorie del fitwalking
Il pianeta WALK-IN ha nel fitwalking una specifica situazione che si unisce, ma nello stesso tempo si distingue, dal normale camminare, dal farlo per turismo, per arte, per cultura, ambientalismo o amore per la natura. Ecco perché il fitwalking l suo interno si caratterizza in 3 categorie che, per comodità, includono tutti i diversi modi di intendere il fitwalking, e nelle quali ognuno potrà individuare la più corrispondente alle sue mire ed esigenze di camminatore.
Life Style, ovvero coloro che guardano al fitwalking principalmente come momento di svago. Sono le persone che amano passeggiare, muoversi a piedi in luoghi e situazioni varie. Non hanno mire particolari sotto l’aspetto prestativo ma sono attratti dalla filosofia di vita legata al camminare.
Performer Style coinvolge gli appassionati del fitwalking che aggiungono alle motivazioni del life style un interesse per gli aspetti di fitness. Amano affinare al meglio la tecnica di cammino e praticare il fitwalking quale attività motoria di tipo allenante. Pur in presenza di uno spirito sportivo non sono agonisti ad ogni costo, ma ricercano il miglioramento delle proprie capacità fisiche, dell’efficienza di camminatori veloci e resistenti. Chi pratica il performer style è attento al lato del benessere fitness (forma fisica) dell’attività, con particolare rilevanza verso gli aspetti estetici e fisici (dimagrimento, tonicità muscolare, rilassatezza psicologica, efficienza fisica in genere). Pratica volentieri anche il fitwalking indoor (camminando sul tapis roulant) e ama misurare a volte il proprio grado di preparazione ed efficienza.
Sport Style coinvolge soggetti sportivi. Appassionati che amano il confronto della performance fatta sia in allenamento sia in gara. Si preparano specificatamente, partecipano regolarmente ad eventi o affrontano sfide personali (tipo lunghe camminate con obiettivi di tempo) allenandosi quotidianamente. Sono persone che hanno trovato nel fitwalking un tipo di sport adatto al loro attuale livello fisico, senza dover rinunciare alla voglia di misurarsi con se stessi e con gli altri.

Il fitwalking nasce in Italia nell’estate 2001 da un’idea di Maurizio Damilano che, coinvolgendo il fratello Giorgio, alcuni amici appassionati di cammino o marcia e diversi ricercatori del campo medico-sportivo, da vita al progetto fitwalking.
I presupposti iniziali sono la passione per il mondo del camminare ma, in modo particolare, il proporre anche in Italia un modo sportivo di camminare che, pur non guardando ad un sistema agonistico, mantenga le sue caratteristiche di attività sportiva a tutti i livelli.
Sulla scia del sistema Americano si modella la proposta fitwalking che, proprio per comodità di termine e non per particolare esterofilia, prende questo nome che unisce il prefisso “fit” di fitness con “walking”, ossia camminare. Il presupposto è quello di dare in modo più diretto e sintetico possibile l’idea di un’attività di cammino che aiuta a mantenersi in forma.

http://www.fitwalking.it/

mercoledì 12 marzo 2008

March to Tibet



In marcia verso il Tibet

La March To Tibet è una marcia pacifica di ritorno verso il Tibet occupato dalla Cina che, partendo da Dharamsala il 10 marzo, raggiungerà il confine tra India e Tibet (Cina) e tenterà di entrare nel territorio occupato per raggiungere la capitale Lhasa.
E’ questa la forma di protesta e lotta adottata dal Tibetan People’s Uprising Movement, il Movimento del Popolo tibetano per l’insurrezione, formato da cinque organizzazioni non governative Tibetane, il Tibetan Youth Congress, la Tibetan Women’s Association, il Gu Chu Sum, il National Democratic Party of Ttibet e lo Student for a Free Tibet.
I cinque movimenti hanno deciso di lottare per il ritorno in Tibet del Dalai Lama e dei Tibetani in esilio, per il rilascio di tutti i prigionieri politici tibetani attualmente detenuti in Cina ed infine per un’effettiva decolonizzazione del Tibet.

La marcia attraverserà l’India per diversi mesi
e conta di raggiungere il confine tra India e Tibet quando inizieranno i giochi olimpici a Pechino, per portare l’attenzione del Mondo sul dominio cinese in quella regione.
La data della marcia non è stata scelta a caso: il 10 marzo 1959 ci fu la rivolta di Lhasa, dopo 10 anni di occupazione cinese. Inoltre, non si può non vedere un’analogia con la storica “marcia del Sale” che, a partire dal 12 marzo 1930, condusse il Mahatma Gandhi e i suoi satyagrahi alla conquista dell’indipendenza Indiana attraverso la lotta non violenta.

www.tibetanuprising.org
www.italiatibet.org/

martedì 11 marzo 2008

Leggiamo insieme!


Letture.... alcuni suggerimenti

Amo molto leggere (soprattutto la narrativa e nello specifico la giallistica) e mi piacerebbe condividere alcuni libri che ho molto gradito riferiti ai diversi sport e attività che pratico. Sono letture semplici, alle quali ci si può dedicare nel tempo libero, ma che aiutano comunque a costruirsi un proprio percorso di crescita personale, relativamente ad alcune attività sportive.... e non solo.

Nordic Walking. Camminare con i bastoncini, di Pino Dellasega, Valentina Trentini Editore 2007
È il primo libro sul Nordic Walking edito in Italia e contiene tantissime informazioni per chi vuole scoprire questo sport ma anche per chi lo pratica già da qualche tempo e vuole approfondirne le caratteristiche. Non vuole essere solo un manuale preciso e dettagliato della tecnica della camminata con i bastoncini, ma un vero e proprio messaggio pieno di emozioni che solo chi cammina, riesce a catturare.
Il libro è arricchito dalle opinioni di esperti di sport, medicina, turismo; da articoli sulla tecnica, il materiale e l'equipaggiamanto; da testimonianze di esperti e campioni dello sport; da foto bellissime.
Ma non solo… sul libro è anche presente uno spazio dedicato alla pratica del Nordic Walking in Italia.

Eva Kant - Senza paura. Tecniche e strategie per proteggersi e difendersi, di Licia Ferraresi e Mario Gomboli (testi), Pierluigi Cerveglieri (disegni), BD Edizioni 2008
Solo una donna preparata come Eva Kant poteva fornire alle altre donne suggerimenti pratici e molti consigli per una efficace autodifesa… ma il discorso è davvero serio, anche se affrontato in modo divertente.Si tratta di un vero e proprio manuale che oltre a spiegare alcune tecniche di autodifesa, forse un po’ troppo difficili da mettere in pratica quando ci si trova improvvisamente in una situazione pericolosa con di fronte un avversario certamente determinato e probabilmente più forte, ma soprattutto molti stratagemmi e piccoli consigli di comportamento a cui non avevamo mai pensato e che potrebbero rivelarsi utili. In ascensore o davanti a un bancomat, in ufficio o al parco, minacciate da un coltello o una pistola, in un parcheggio o in treno… la compagna di Diabolik (nata nel 1963 dalla fantasia di Angela a Luciana Giussani) ci dice come difenderci al meglio sconfiggendo l’aggressore o come evitare che la situazione degeneri ulteriormente.

Lo Zen e il tiro con l’arco, di Eugen Herrigel, Piccola Biblioteca Adelphi 1975
Questo piccolo libro, da anni molto letto e molto amato in tutto il mondo, è forse il più illuminante, il più lucido e utile resoconto, scritto da un occidentale, di come un occidentale possa avvicinarsi allo Zen. Un professore tedesco di filosofia, Eugen Herrigel, vuole essere introdotto allo Zen e gli viene consigliato di imparare una delle arti in cui lo Zen da secoli si applica: il tiro con l'arco. Comincia così un emozionante tirocinio, nel corso del quale Herrigel si troverà felicemente costretto a capovolgere le sue idee – e soprattutto il suo modo di vivere. All'inizio con grande pena e sconcerto: dovrà infatti riconoscere prima di tutto che i suoi gesti sono sbagliati, poi che sono sbagliate le sue intenzioni, infine che proprio le cose su cui fa affidamento sono i più grandi ostacoli: la volontà, la chiara distinzione fra mezzo e fine, il desiderio di riuscire. Ma il tocco sapiente del Maestro aiuterà Herrigel a scrollarsi tutto di dosso, a restare vuoto per accogliere, quasi senza accorgersene, l'unico gesto giusto, che fa centro – quello di cui gli arcieri Zen dicono: «Un colpo - una vita». In un tale colpo, arco, freccia, bersaglio e Io si intrecciano in modo che non è possibile separarli: la freccia scoccata mette in gioco tutta la vita dell'arciere e il bersaglio da colpire è l'arciere stesso.

La perfezione del corpo, di Bruce Lee, Mondatori 2007
Secondo Bruce Lee le arti marziali rappresentano l'espressione artistica del corpo umano.
In questo volume il famoso attore espone il suo metodo di allenamento e introduce alla disciplina mentale che lo ha sempre guidato nel continuo perfezionamento delle tecniche di combattimento e nel potenziamento delle sue capacità. Tratte dai diari di allenamento e dagli appunti personali di Bruce Lee, le indicazioni contenute in queste pagine offrono suggerimenti concreti sugli esercizi e sulle regole alimentari da seguire per ottenere un corpo di spettacolare flessibilità ed eleganza muscolare, e per raggiungere uno stato di salute psicofisica eccellente. Ai consigli pratici si alternano poi riflessioni di folgorante intensità su come esprimere, attraverso la perfezione del corpo, la profondità dell'anima.

Dice lo zen, di Tsai Chih Chung, Feltrinelli 2006
Un maestro orientale del disegno a fumetti, alle prese con i maestri della parola Zen, presenta i principi fondamentali della meditazione buddhista. Più di duemila anni fa un famoso saggio taoista, di nome Chuang Tsu, scrisse un libro. Tsai Chih Chung, un giorno, lo ha illustrato. È nato così un libro a fumetti che espone con serietà, rigore e chiarezza un’antica profonda sapienza tuttora vivissima. La difficile lingua del cinese classico, usata nei testi buddhisti risalenti al settimo secolo, è stata tradotta in una lingua moderna e agile; la filosofia Zen, a partire da quella più arcaica fino all’epoca moderna, di Cina, Corea e Giappone, è stata trasposta in immagini. Immagini bellissime, di qualità, che sanno reinventare e raccontare, lasciando il giusto spazio alla meditazione.Dice lo Zen è diventato un bestseller a Taiwan e ben presto la sua popolarità si è estesa a tutto il mondo. È stato pubblicato per la prima volta in “Universale Economica” nel 1999.

lunedì 10 marzo 2008

Ciaspolare



Le ciaspole

Ieri sono stata a Campo Felice (AQ) e ho provato per la prima volta a fare una bella passeggiata sulle ciaspole, ovvero sulle racchette da neve.
Che sensazione fantastica!!!!
Sembra di camminare sulle nuvole, sospesi leggeri sulla coltre di neve, in mezzo a panorami completamente innevati e - spesso - immersi nel bianco e nel silenzio...
Sono stata davvero felice di aver scoperto questo "nuovo" (almeno per me) sport invernale... permette di godersi appieno la montagna anche per chi - pur amandola come me - non è un patito dello sci, alpino o di fondo che sia.

Le ciaspole (o racchette da neve) sono uno strumento che consente di spostarsi agevolmente a piedi sulla neve fresca poiché aumenta la superficie calpestata e quindi anche il 'galleggiamento'. Inizialmente erano fatte di corda intrecciata e legno, oggi sono per lo più di plastica o di materiale simile.
Le ciaspole sono molto utilizzate per le escursioni invernali sulla neve, per facilitare la camminata si utilizzano bastoncini, simili a quelli utilizzati nello sci, che aiutano nella spinta.
Per i percorsi semplici, adatti a tutte le età, non sono richiesti particolari preparazioni o specifici allenamenti. Per gli altri percorsi, come per il trekking estivo, è indispensabile un minimo di allenamento. È necessario, in entrambi i casi, prestare qualche attenzione a dove si mettono i piedi...Se ci si limita a percorsi semplici le racchette da neve non esigono una conoscenza tecnica particolare. Tuttavia è importante sottolineare che andare in montagna d'inverno senza l'aiuto di una guida richiede senz’altro prudenza ed esperienza. Non è necessario salire a grandi quote per godere di emozioni indimenticabili. Basta una coltre nevosa su una strada forestale a mezza montagna per vivere la straordinaria esperienza della natura ammantata di bianco.
Per indossare le ciaspole sono ideali delle pedule o delle scarpe da trekking, un adeguato abbigliamento da neve e i bastoncini per aiutarsi a camminare.

Come si indossano le ciaspole
Si indossano direttamente e con facilità sulle scarpe e permettono di muoversi sul manto nevoso senza sprofondare e senza scivolare. Si differenziano in sinistra e destra dalla fibbia di chiusura che deve sempre trovarsi all'esterno. Il piede va inserito in modo tale che la punta e il tacco dello scarpone siano rispettivamente sopra il puntale e il centro della racchetta, quindi va fissato stringendo le cinghie (anteriore e posteriore). Esistono anche ciaspole con attacchi automatici molto simili a quelli dei ramponi, composti da due ferretti (uno anteriore ed uno posteriore), che si incastrano in apposite scanalature presenti sugli scarponi. Questo sistema rende l'attacco molto più facile, ma richiede ciaspole e scarponi dedicati all'uso.

Tipi di ciaspole
Esistono vari tipi di racchetta, differenziate per grandezza, materiali e ovviamente costo. Vanno scelte in base alle attività e al percorso che cui si appresta ad affrontare, alla frequenza di utilizzo e alle dimensioni corporee rispetto a quelle dell'attrezzo.
In pianura con neve profonda si useranno racchette lunghe, su di un terreno ripido (dove la neve è per forza meno profonda) racchette corte e più maneggevoli. In entrambi i casi è molto importante che le ciaspole siano dotate nella parte inferiore di ramponcini metallici, che permettono una presa migliore sulla neve, un maggior controllo della camminata e una frenata più controllata in discesa.
Fagioli: molto economiche, ma ormai sorpassate, sono dotate di struttura esterna in legno o alluminio e di superficie d'appoggio in cordini intrecciati. Il piede viene fissato con fettucce e/o cordini.
Canadesi: le più grandi (sfiorano il metro) e spesso dotate di coda, ideali per nevi profonde; presentano vari sistemi di fissaggio.
Moderne: di forma intermedia tra le due precedenti, realizzate in plastica o alluminio, sono quelle che ormai vengono utilizzate più diffusamente e che si trovano presso i rivenditori di articoli sportivi ben forniti. Hanno attacchi molto tecnici, risultando adatte anche per terreni ripidi.

I principali componenti della ciaspola
Corpo principale (spesso in plastiche che non soffrono del freddo), che permette il galleggiamento sulla neve fresca. Maggiori sono le dimensioni, maggiore sarà la galleggiabilità, ma contemporaneamente anche il peso da portare attaccato ai piedi. Ogni ciaspola ha un range di peso corporeo ottimale, range che normalmente è abbastanza vasto, ad esempio da 50 a 80Kg.
Snodo basculabile - montato sul corpo principale - sul quale va legato lo scarpone. La basculabilità è indispensabile per minimizzare la fatica e rendere la camminata più fluida
nei tratti tecnicamente più impegnativi (discese ripide, traversi), dove è bene avere un ottimo controllo della ciaspola, la basculabilità si blocca con un gancio posteriore. In questo modo lo scarpone è maggiormente solidale con la ciaspola.
L'attacco dello scarpone è regolabile in lunghezza, per poterlo adattare alle diverse misure dei nostri piedi. Normalmente è composto da un'allacciatura anteriore, dove si infila la punta dello scarpone, e da una posteriore che passa sopra la caviglia.
Sotto la ciaspola sono presenti dei puntali metallici, che permettono una buona aderenza anche su nevi dure
Sotto il puntale che alloggia lo scarpone dovrebbero essere presenti dei ramponcini metallici, che garantiscano la presa su salite ripide .
Nei tratti di salita è bene utilizzare l'alzatacco, che è uno spessore che viene posto sotto il tallone e che permette un minore affaticamento dei polpacci. L'alzatacco deve essere tolto nei tratti pianeggianti e durante le discese.

Utilissimi nei traversi sono i cosiddetti rampanti (terminologia presa dallo scialpinismo), delle lame longitudinali che corrono lungo la parte inferiore della ciaspola, migliorando e di molto la tenuta su terreni scivolosi lateralmente.

venerdì 7 marzo 2008

Wayfaring e fotografia



Wayfaring nel Parco d'Abruzzo

La Betulla escursioni dell'amico Pietro Santucci organizza, con l'ausilio di Luca Cavallari (fotografo professionista ed esperto di orienteering e wayfaring), per il 29 e 30 marzo 2008 un corso-escursione di "wayfaring e fotografia naturalistica" nel Parco Nazionale d'Abruzzo.

Il wayfaring è un tipo di escursione orienteering non competitivo con nozioni base di orientamento in natura.
Il Parco Nazizonale d'Abruzzo si presta benissimo per questo tipo di attività, in quanto - oltre ad offrire sentieri adatti per questa esperienza - da l'opportunità di godere della bellezza dei paesaggi e la possibilità di incontri ravvicinati con la fauna selvatica che molto frequentemente non disdegna l'incontro con l'uomo.
Il week-end didattico proposto è adatto per il semplice naturalista o escursionista che frequenta la montagna per più giorni .

Programma: arrivo a Civitella Alfedena alle ore 15,00 del sabato, incontro con la guida e con l'esperto in orientamento, sistemazione in albergo e partenza in escursione nei dintorni di Civitella Alfedena con primo approccio alle tecniche del waifaring. Alle ore 20,00 cena in albergo e intorno alle ore 21,30/22,00 partenza in escursione su un interessante sentiero del Parco Nazionale d'Abruzzo con l'ausilio della strumentazione adatta per il waifaring (gps, bussola e mappa). Come orientarsi al buio. Rientro in albergo intorno alle ore 23,00.
Al mattino, dopo la prima colazione, alle ore 6,00 partenza per una interessante escursione alla scoperta degli ambienti selvaggi del Parco, le prime ore del mattino saranno dedicate alla fauna selvatica con appostamenti e fotografia naturalistica, durante la giornata saranno simulate particolari situazioni atte alla necessità di orientarsi in montagna. Ritorno a Civitella Alfedena per le ore 17,00.
Programma didattico. Cosa è un mapdatum - Impostare il gps in conformità della carta in uso - Il coordinatometro - Come trovare la nostra posizione sulla carta tramite le coordinate GPS e come riportare un punto preso sulla carta per inserirlo sul GPS e fare il GO-TO -
L'orientamento base con la bussola.
Costi: il costo della due giorni è di 100,00 euro e comprende: cena del sabato sera, pernottamentoin albergo tre stelle con camere doppie e bagno, prima colazione internazionale, pranzo al sacco per l’escursione della domenica, assistenza completa dal pomeriggio del sabato al pomeriggio della domenica a cura dell' Acc. di Media Montagna e della guida ambientale escursionistica esperta in orienteering, dispensa GPS, uso operativo sul campo per cartografia UTM scala 1:25000 cartina scala 1:25000 e coordinatometro.

Prenotazioni entro il 26 marzo 2008

Equipaggiamento consigliato: zaino, bastoncini da trekking, scarponi da montagna, capi adatti per temperature medio/basse variabili tra i 5 e i 15 gradi (pile, giacca a vento, guanti, cappello), bussola, macchina fotografica, binocolo, torcia.
Grado di difficoltà: sabato T - domenica E
(per capire a cosa corrispondono i diversi gradi di difficoltà potete consultare il post apposito presente in questo blog).

Per informazioni: http://www.labetullaonline.com/ oppure http://www.trekdifferent.com/TDN/escursionitrekking/dettaglio.asp?id=7

giovedì 6 marzo 2008

Birmania

Leggo dal sito di Repubblica un bell'articolo che riporto integralmente....
Sicuramente sono notizie e commenti che ci possono far riflettere....

Birmania, nel monastero della rivolta 'Noi, monaci che sfidammo il regime'
dall’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo


PAKOKKU - Cinque mesi dopo, restano ancora le tracce della battaglia. Fuori, lungo i muri di cinta sbrecciati dalla pallottole; dentro, sui pavimenti in legno anneriti, nei giardini invasi dalle erbacce, nei bagni collettivi allagati, nell'infermeria saccheggiata, nelle stanze dei novizi vuote e sporche. Persino i corridoi, luogo di meditazione e di lettura, sono occupati dai resti di armadi, sedie e tavoli ammassati alla rinfusa. Per terra, allineati con cura in una stanza chiusa a chiave, si sono salvati solo loro: i libri sacri dello Sangha, la chiesa buddista, e le antiche pergamena di palma scritte a mano.
Il grande bonzo, il capo spirituale del monastero, è assorto nella sua lettura. E' solo, al centro del salone al primo piano dove si tengono le lezioni, disteso su un letto in tek coperto da un telo rosso scuro. Restiamo in attesa, avvolti da un cupo senso di desolazione. Il maestro piega il libro. Si mette seduto, incrocia le gambe, si gira verso di noi, porta le mani giunte sulla fronte. "Siate i benvenuti", ci dice dopo minuti che sembrano eterni.
Ma-Gway Taungdwingyi, 84 anni, il viso liscio, lo sguardo sereno, non aggiunge altro. Osserva il silenzio che il regime gli ha imposto. Non può dire, come chiunque racconta in Birmania, che tutto è iniziato qui dentro, in un monastero alla periferia di Pakokku: un villaggio lontano dalle rotte turistiche, famoso per il suo tabacco forte e profumato con cui si confezionano i sigari cheerok, sulle sponde del fiume Ayeyarwady, cuore della Birmania centrale, oggi chiamata Myanmar.
E' il 16 agosto scorso. Quattro funzionari del governo si presentano nel collegio di Pakhanngeh Kyaung, il più grande di tutto il paese, 100 anni di storia, un'immensa struttura che si regge su 322 pilastri in legno intarsiati. Chiedono di Ma-Gway: non sono venuti, come fanno molti, per chiedere un consiglio e lasciare un'offerta. Hanno altro in testa, il maestro è finito nel mirino della giunta militare. Parla troppo e parla male: del governo dei militari, di quanto sia profondo il distacco che li divide dal paese reale. Lo ammoniscono senza molte remore: "Questo deve essere un luogo di studio e di preghiera, non di politica".
Lo minacciano in modo brusco: "Smettila di sobillare i tuoi studenti o ti facciamo sparire". Il grande monaco è paziente. Usa tutto il suo carisma e la sua influenza. Ricorda che l'aumento di cinque volte il prezzo della benzina e di tanti altri beni di prima necessità sta affamando il popolo.

I bonzi lo sanno bene: vivono a stretto contatto con la gente. La colletta che compiono ogni mattina all'alba, secondo un rituale di secoli, scalzi, avvolti nelle loro tuniche colorate, passando di casa in casa, si è interrotta. A Pakokku, davanti alla ciotola mostrata per raccogliere le offerte, le famiglie portano la mano alla bocca: non c'è cibo, non ci sono soldi. Il maestro invita i funzionari a lasciare il monastero. Ma i quattro emissari insistono; l'ordine è arrestarlo, portarlo via. Volano parole grosse: la discussione è animata, violenta, sostiene chi era presente.
Sfidare un monaco, un maestro spirituale, in Birmania è una grave offesa, una vera provocazione. Decine di novizi, ragazzi che vivono nel monastero il tempo per studiare i testi sacri del buddismo e imparare l'inglese, hanno seguito il diverbio. Sono indignati. Intervengono, come sono sempre intervenuti. Anche nelle proteste del 1988 sono stati i bonzi più giovani, assieme agli studenti, ad accendere la miccia della rivolta. Scoppia una rissa generale. I quattro funzionari lasciano a fatica il monastero. Ma all'esterno trovano le loro auto in fiamme. Ma-Gway Taungdwingyi non scenderà nei dettagli e noi eviteremo domande che non vanno fatte.
Sarà George, la nostra guida di Nyaung U che ci ha accompagnato sul posto, a dirci cosa è accaduto. Al ritorno, mentre attraversiamo l'Ayeyarwady a bordo di una lancia, coperti dal rumore assordante del motore ad elica allungata, ci spiega: "Adesso posso parlare. Prima non mi fidavo di nessuno. Pakokku è piena di spie. Le autorità le hanno infiltrate anche tra i monaci. La rivolta dell'agosto e settembre scorsi è nata qui dentro. Dopo l'incendio delle auto dei quattro funzionari del governo, sono arrivati la polizia e l'esercito. Ma è accorsa anche la gente del villaggio.
La voce si è sparsa in tutta la regione. Migliaia di persone sono giunte dai paesi vicini: ne arrivavano ad ondate, con ogni mezzo, dall'interno e poi con le barche, dall'altra sponda del fiume. Ci sono stati gli scontri, molti feriti, tantissimi morti. La gente è rimasta, ha resistito. La protesta si è allargata a Bagan, a Mandalay, a Yangon. Ventotto giorni di cortei e manifestazioni.
Fino a quando sono intervenuti i reparti speciali, con i fucili, le mitragliatrici, lo stato d'assedio, il coprifuoco". Il monastero resterà isolato e circondato dal filo spinato fino a Natale.
Oggi il collegio di Pakhanngeh Kyaung è stato riaperto ma sembra abbandonato: pochi lo frequentano e non ci sono soldi per restaurare le ferite inferte durante la sommossa. Su 836 monaci ne sono rimasti solo 174. I pochi che si affacciano, timidi e preoccupati, evitano ogni contatto. C'è ancora molta diffidenza: i bonzi sono visti dal regime come un pericolo. In tutta la Birmania, ce n'erano 400 mila. In dieci anni la giunta, con la sua "campagna di purificazione", li ha ridotti del 20 per cento. Il monastero si è svuotato.
Molti sono fuggiti. Forse tornati a casa, forse scomparsi, morti, inghiottiti nelle carceri. Nessuno sa nulla di loro. Solo il principio buddista per cui la vita è un continuo ripetersi può spiegare le contraddizioni di questo paese allegro e insieme triste, ribelle e rassegnato. Il suo fascino è tutto lì. La Birmania sembra galleggiare su un tempo indefinito: ancorata al suo passato glorioso, costretta a vivere un presente drammatico, proiettata su un futuro che non le appartiene ancora.
La giunta dei militari è rimasta sorpresa dalla rivolta di Pakokku. Non si aspettava che proprio in questo monastero, immerso nel cuore dell'etnia bamar, scattasse l'ennesima sfida. I pericoli, storicamente, arrivano dalle zone che confinano con Cina, Thailandia, Laos e India, dove sono arroccate le minoranze più ostili al sogno di una grande Birmania. Occupato dal suo business, il regime non si era reso conto che l'intero paese bolliva come un vulcano pronto ad esplodere. Eppure basta camminare nel centro di Mandalay, 80 chilometri più a nord, per capire che la "primavera" birmana non è mai finita.
Il sangue versato a settembre sui grandi viali che costeggiano la maestosa fortezza costruita del re Mindom Min, penultimo sovrano della dinastia Konbaung, ha scosso dal torpore questa città adagiata sul privilegio di essere la culla religiosa e l'ultima capitale del regno prima della dominazione britannica. Avvolta dal buio dopo il tramonto, punteggiata dai fari dei motorini e delle biciclette che invadono le strade come sciami, abbagliata da decine di pagode dalle cupole bianche e i pennacchi dorati, Mandalay fa i conti con l'ennesimo incendio. La corrente arriva a singhiozzo.
Il governo la concentra sulle strutture militari. Quando torna, l'energia è una scarica che brucia gli impianti ridotti ad un ammasso di fili. Il cortocircuito è inevitabile. La benzina comprata al mercato nero e tenuta in casa fa il resto. L'anno scorso, in questo modo, nella sola Mandalay, un milione di abitanti, sono andate a fuoco 40 mila abitazioni.
Tsa-Tsa, il ragazzo del nostro risciò, si dirige verso la zona dove adesso si alzano fiamme rosse e gialle. Ha bisogno di lavorare e si fa coraggio. Sostiene di non mangiare da tre giorni. C'è da credergli. Nel 2007, secondo una fonte diplomatica occidentale, ci sono stati solamente duecentomila turisti, rispetto agli 800 mila dell'anno precedente. Si fanno sentire gli inviti (timidi) al boicottaggio rivolti alle Nazioni unite e all'Unione europea contro la giunta militare da 46 anni al potere. Prevalgono gli scrupoli morali. L'appello a disertare la Birmania di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, leader dell'Nld (National leage for democracy), vincitrice assoluta delle passate elezioni, da 6 anni di nuovo agli arresti domiciliari, sembra avere effetto. Per due settimane abbiamo girato il paese in lungo e in largo incontrando pochissimi turisti.
Chiediamo alla nostra guida cosa sta accadendo; vediamo, in lontananza, le luci della polizia. "Problem, problem", si affanna allarmato. "Police, army, protest". Ma poi, subito dopo, giù a ridere, come fanno sempre i birmani per stemperare anche la più piccola tensione. "Questo viale", racconta, "ad agosto era pieno di gente. Migliaia e migliaia di persone. Prima sono scesi in piazza i monaci, poi la gente si è fatta coraggio e li ha seguiti". Chiediamo quanti feriti e quanti morti ci sono stati. Lo domandiamo spesso in giro. Le risposte sono sempre diverse e vaghe. Dopo tante pressioni, il governo dello Spdc (State peace and development council), ex Slorc, il partito unico, artefice di questa "via birmana al socialismo", ha ammesso dieci vittime, 2700 arresti, tra cui 573 monaci, 1600 dei quali già stati rilasciati.
Il "Tate naing" della "Assistance association of political prisoniers" parla invece di 4000 morti e 700 arresti. La verità, inaccessibile, resta isolata al centro della Birmania, a Nyapyidaw, dove il regime, con una scelta paranoica e ossessiva appoggiata dall'indovino di corte, ha deciso di trasferire la nuova capitale. Una città-caserma artificiale, nata dal nulla, senza negozi, ristoranti, case, sale da tè, ospedali e scuole. Ci vivono il vertice della giunta militare, i generali, gli ufficiali, la truppa, i dirigenti del Spdc. Una comunità priva di vita, rumori, colori, emozioni. I birmani ci ridono sopra e la spiegano con una barzelletta: "Hanno paura di tutto, persino del loro popolo".
Tsa-Tsa ricorda molto bene i cadaveri abbandonati sull'asfalto o lungo i marciapiedi quando l'esercito ebbe l'ordine di sparare. E' convinto: "Li hanno cremati o buttati in una fossa comune". Racconta che i cortei sono durati quattro settimane. "C'erano due appuntamenti quotidiani: la mattina alle 9 e poi alle 4 del pomeriggio. Non si mangiava e si dormiva poco. Bevevamo coca-cola, lo zucchero ci dava forza e ci teneva svegli. Le autorità non hanno reagito subito. Sono rimaste a guardare per una settimana. Sparare sui religiosi li metteva in crisi".
Oltre ad essere buddista, la giunta militare è nota per essere superstiziosa: nelle scelte più importanti interpella esperti astrali e interpreti del fuoco in grado di scacciare gli spiriti maligni. Ma qualcosa si è rotto al vertice. Si parla di uno scontro tra il capo, il tenente generale Than Shwe, 74 anni e il suo vice, il generale Maung Aye, 69. Il primo era favorevole ad un intervento, il secondo invitava alla prudenza. La realtà della piazza ha fatto prevalere la linea dura.
"Quando si sono uniti anche gli studenti", aggiunge il ragazzo del risciò, "i professori, i commercianti, gli ingeneri, i farmacisti, quando tutti i negozi sono rimasti chiusi, quando i genitori si sono rifiutati di mandare i propri figli a scuola, allora è scattata la repressione". Indica le feritoie della muraglia che scorre sul lato: "Sparavano da lì. La folla marciava e loro sparavano". Ciò che è accaduto, lo ha saputo e visto tutto il mondo. Grazie alle foto scattate con i cellulari e spedite all'estero via mail dai più coraggiosi. Sono gli stessi che vediamo accorrere verso l'incendio. Le ragazze in minigonna ma con il viso protetto dalla "tannaka", la crema di legno di sandalo, per mantenere la pelle bianca. I ragazzi con i jeans larghi e calati, i capelli colorati, i tatuaggi, gli orecchini, mischiati a quelli che indossano i "longyi", il pareo tradizionale, e ciabattine. Passato e futuro. Tutti insieme. Alzano le due dita in segno di vittoria, strombazzano clacson e trillano i campanelli delle loro biciclette.
La scuola è finita. Due potenti casse sparano musica heavy metal da un camion. Stasera si balla. Anche il nuovo incendio sarà spento. La Birmania, quella vera, non vuole più attendere.



http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/esteri/birmania-2/monaci-rivolta/monaci-rivolta.html
http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/reportage-birmania-1/1.html

mercoledì 5 marzo 2008

Statue parlanti


Tra satira e storia

Roma è una città che si presta a mille e più nuove scoperte e oltre ai soliti itinerari, vorrei suggerirvi questa passeggiata anomala, tra le vie del centro storico.

Le cosiddette “statue parlanti” sono l'arma con la quale Roma si è sempre opposta all'arroganza e alla corruzione delle classi dominanti con grande senso dell'umorismo. Fin dagli inizi del XVI secolo, cartelli satirici venivano appesi nottetempo presso un numero di statue che sorgevano in luoghi ben frequentati della città, così che la mattina seguente chiunque potesse leggerli, prima che fossero rimossi dalle guardie. I cartelli a volte avevano poesie, a volte dei dialoghi umoristici; nella maggior parte dei casi bersaglio della satira era il papa. E gli autori, ovviamente, rimanevano ignoti.Ai nostri giorni questi monumenti sembrano aver perduto la parola, ma rimangono comunque saldamente al loro posto.

Dal 1501 Pasquino - forse la più famosa tra le “statue parlanti” - si trova alle spalle della grande piazza Navona, in un piccolo slargo che dalla statua prende il nome di piazza Pasquino.
Si tratta di un torso di figura maschile, probabilmente risalente al III secolo a.C.
È così male conservato che dire con certezza chi rappresenti è impossibile, forse un re o un eroe dell'antica Grecia.Anche sull'origine del soprannome si sa poco; vuole la leggenda che la statua fosse stata rinvenuta presso una bottega di barbiere (o secondo un'altra versione, un'osteria) il cui proprietario si chiamava Pasquino.Questa tradizione durò fino allo scorso secolo, e le burle contenute nei cartelli presero il nome di "pasquinate".Una delle più celebri è quella diretta al papa Urbano VIII, della famiglia Barberini, che fece togliere a Bernini le parti bronzee del Pantheon per la realizzazione del grandioso baldacchino di S.Pietro (1633): quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini sentenziò Pasquino.

Un'altra statua conosciuta è Marforio, una lunga figura barbuta distesa su un fianco, che decora il cortile di Palazzo Nuovo, un'ala dei Musei Capitolini.
Forse rappresenta un'allegoria di un fiume (il Tevere?) o forse è Nettuno, il dio dei mari. Il suo luogo originario di provenienza è il Foro Romano, da dove venne spostato nel tardo XVI secolo.Marforio era considerato la "spalla" di Pasquino, poiché in alcune delle satire le due statue dialogavano fra di loro: una faceva domande riguardo ai problemi sociali, alla politica, ecc., e l'altra dava risposte argute.

Fra le "statue parlanti" minori si ricordano le seguenti.
Il Facchino è una piccola fontana che rappresenta una figura maschile, il cui viso è andato quasi del tutto perduto, nell'atto di versare acqua da una botte; l'abito indossato dalla figura è il costume tipico della corporazione dei facchini, da cui il nome del personaggio. La statua originariamente si trovava sulla facciata principale del nobile palazzo De Carolis (oggi noto come palazzo del Banco di Roma), in via del Corso, non lontano dall'attuale piazza Venezia; nel 1874 fu spostata a via Lata, proprio dietro l'angolo. Risale alla seconda metà del XVI secolo, e secondo una tradizione popolare fu ispirata dalla figura di un acquarolo, colui cioè che raccoglieva acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta, a modico prezzo.
Nessuno sa chi fosse l'autore della fontana; trattandosi di un'opera pregiata, nonostante le sue condizioni attuali, lo stesso Michelangelo ne era stato ritenuto (erroneamente) l'artefice.

Un'altra statua è conosciuta come Madama Lucrezia, e si trova in un angolo di Palazzetto Venezia, in piazza San Marco, adiacente a piazza Venezia.Questo enorme busto marmoreo, alto circa 3 metri, proviene da un tempio dedicato a Iside e raffigura una donna, forse una sacerdotessa di questo culto o forse la stessa Iside.Il soprannome gli deriva da una nobile dama piuttosto conosciuta, di nome Lucrezia, che visse nel XV secolo.Si era innamorata del re di Napoli, il quale era già sposato; per questo motivo Lucrezia venne a Roma per cercare di ottenere dal papa la concessione del divorzio per il sovrano, ma il tentativo fallì. L'anno seguente il re morì; l'ostilità del suo successore costrinse la dama a tornare a Roma, dove abitò appunto presso la suddetta piazza.

... “Fui dell'antica Roma un cittadino, ora abate Luigi ognun mi chiama, conquistai con Marforio e con Pasquino nelle satire urbane eterna fama, ebbi offese, disgrazie e sepoltura, ma qui vita novella e alfin sicura” ...
Questo breve epitaffio si legge sulla base che sostiene l'Abate Luigi, in piazza Vidoni, non lontano da piazza Navona, sul muro sinistro della chiesa di S.Andrea della Valle. La statua raffigura un uomo con una toga di foggia tardo-romana; il soprannome fu probabilmente ispirato dal sacrestano della vicina chiesa del Sudario, il quale - secondo la tradizione popolare - rassomigliava molto alla figura scolpita. La piazza era la collocazione originale dell'"Abate", ma nel corso dei secoli la statua cambiò sede diverse volte, tenuta in scarsa considerazione, finché nel 1924 non fu ricollocata nel medesimo spiazzo.

Il Babuino (cioè babbuino) è una figura distesa di sileno, davanti alla chiesa di S.Attanasio dei Greci, nella centrale via del Babuino. Funge da elemento decorativo per una fontana semplicissima, una volta usata per abbeverare i cavalli, sul cui bordo il vecchio personaggio sta appollaiato sin dal Rinascimento. Il soprannome dato alla figura è la conseguenza della faccia ghignante del sileno, ora resa ancora più grottesca dall'usura del tempo.

Le foto pubblicate in parte sono mie (Pasquino, il Facchino e Madama Lucrezia), in parte sono prese dal sito http://www.geocities.com/mp_pollett/roma-c2i.htm

lunedì 3 marzo 2008

Correre, correre... e camminare


XIV Maratona di Roma

Il 16 Marzo 2008 alle 9,00 parte da Via dei Fori Imperiali (Colosseo) la XIV Maratona di Roma del 2008, valevole anche come 1 edizione Roma Fitwalking.

Percorso: Via dei Fori Imperiali, Via del Teatro di Marcello, Via dei Cerchi, P.zza Albania, Via Ostiense (Gazometro), Via Ostiense (Università), Via Ostiense (Valco San Paolo), V.le Marconi (L.re San Paolo), L.re Pietra Papa, Via Pacinotti (Via A. Nobel), L.re Testaccio, Via Caio Cestio, L.re Aventino, L.re de’ Cenci (Sinagoga), L.re dei Tebaidi, L.re Tor di Nona, P.zza Cavour, Via Fabio Massimo, L.go Trionfale, V.le Mazzini (V.le Angelico), L.go Gen. Gonzaga del Vodice, L.re della Vittoria, L.re Mar. Cadorna, L.re Mar. Diaz, V.le di Tor di Quinto, V.le del Foro Italico (ponte Tevere), V.le della Moschea, Via Elia, L.re dell’Acqua Acetosa (C.so di Francia), L.re G.A. Thaon di Revel (Via Longhi), L.re Flaminio, P.zza delle Belle Arti, P.ta di Ripetta (uscita sottopasso, Via Monte Brianzo, L.go di Torre Argentina, Via del Corso, P.zza del Popolo, P.zza di Spagna, Via della Pilotta, Via Petroselli, Via di San Gregorio, P.le del Colosseo.

Ma la Maratona della Città di Roma non è solo una gara per atleti con la “A” maiuscola. Come da tradizione, la grande festa che interessa tutta la città si completa con migliaia e migliaia di protagonisti della Stracittadina Fun Run, la prova non competitiva di 4km aperta a tutti. Una passeggiata nel centro storico, completamente chiuso al traffico, dove ciascuno può sentirsi protagonista insieme con la famiglia, i compagni di scuola, il proprio cane, sui pattini e così via.

Percorso: Via dei Fori Imperiali, Piazza Venezia, Via Cesare Battisti, Via IV Novembre, Via Magnanapoli, Largo Magnanapoli, Via Nazionale, Via Milano, Via Panisperna, Via Santa Maria Maggiore, Via Cavour, Largo Visconti Venosta, Via Cavour, Via degli Annibaldi, Via Nicola Salvi, Via Terme di Tito, Viale del Monte Oppio, Via delle Terme di Traiano, Viale Mizzi / Via delle Terme di Traiano ingresso Colle Oppio.